FULL METAL JACKET

Il
28
/
07
alle
21:00
Stagione
2025

USA, UK, 1987 - 116'

Regia: Stanley Kubrick

Sceneggiatura: Stanley Kubrick, Gustav Hasford, Michael Herr

Cast: Matthew Modine, R. Lee Ermey, Adam Baldwin, Vincent D’Onofrio, Arliss Howard, Dorian Harewood, Kevyn Major Howard, Ed O’Ross, John Terry

Un potente dramma di guerra che esplora la trasformazione dell’individuo sotto il peso della disciplina militare e dell’orrore del conflitto. Diviso in due parti, il film segue un gruppo di giovani reclute durante l’estenuante addestramento nel campo di Parris Island, guidati dal brutale sergente Hartman, e poi nelle violente battaglie della guerra del Vietnam. Attraverso lo sguardo del soldato Joker, Kubrick denuncia la disumanizzazione del soldato e la follia della guerra, combinando realismo crudo, satira e riflessione esistenziale.

«Una pagina epica della guerra nel Vietnam» proclamano a gran voce le locandine di Full Metal Jacket e mai, credo, la pubblicità ha tradito tanto spudoratamente lo spirito di un film. Di epico, in Full Metal Jacket, c'è ben poco [...] Nel film non c'è nulla di epico per una ragione molto semplice: l'epica presuppone un eroe, ma nel cinema di Kubrick eroi non ce ne sono né ce ne sono stati. Mai. Kubrick ha la sublime arroganza dell'artista che non è interessato agli individui, bensì all'Umanità e alla Storia.[...] Full Metal Jacket non è un film sul Vietnam, quanto sulla Guerra come Istituzione, e sulla sua manifestazione in potenza, l'Esercito.[...] È difficile parlare di ogni nuovo film di Kubrick senza riferirsi agli altri. [...] La materia dei suoi film, infatti, è la Storia ed è la Storia che vediamo al lavoro anche in Full Metal Jacket. [...]L'intenzione di Kubrick è deliberatamente quella di mostrare personaggi in cui non ci si può identificare. Joker e i suoi compagni non sono dei soldati, sono il volto collettivo dell'esercito. [...]Non ci sono personaggi positivi o negativi, solo uomini in guerra. In Full Metal Jacket non c'è innocenza, né catarsi: il momento forte, semmai, è il passaggio di Joker nella schiera degli assassini, nella scena in cui finisce la ragazza vietcong. [...] Davanti a Full Metal Jacket ci si trova ancora una volta come di fronte al monolito nero. Kubrick ci ha portato dentro il mistero e poi ci ha lasciato lì a contemplarlo senza parole, annichiliti come la maggior parte degli spettatori che escono dalla proiezione del film. E, forse, nonostante il fiume di parole che ogni volta si spreca, il miglior commento a un film di Stanley Kubrick è il silenzio.

(Redazione Cineforum)

Dodicesimo e penultimo lungometraggio diretto da Stanley Kubrick, Full Metal Jacket riporta a uno dei temi portanti della filosofia del regista statunitense, la guerra intesa non come atto bellico tra Stati ma come immersione del singolo nella dialettica fra realtà ed elemento allucinatorio. Il Vietnam-movie kubrickiano schiva tutti icliché del genere e allo stesso tempo si tiene alla larga da qualsiasi riflessione di stampo morale o strettamente politico. Un viaggio che parte dal documento del campo di addestramento e arriva all’onirismo delle truppe che cantano la Marcia di Topolino. [...] È il giugno del 1987 quando Full Metal Jacket raggiunge le sale statunitensi. Tre mesi prima Platoon di Oliver Stone ha sbancato l’Academy ottenendo l’Oscar per il miglior film; un paio di mesi più tardi uscirà in sala Hamburger Hill di John Irvin, e a ridosso di Natale sarà la volta di Good Morning, Vietnam di Barry Levinson, a dimostrazione di quanto la riflessione sulla guerra del Vietnam, a quindici anni dalla sua conclusione, sia estremamente diffusa. Kubrick, del tutto disinteressato alla mera cronaca documentaria, compie una prima scelta forte, radicale, che nei fatti lo sposta su un terreno fino a quel momento non battuto, e che resterà vergineo anche negli anni successivi. Elimina, di fatto, l’elemento umano. Non per quel che concerne la presenza in scena, che al contrario rifugge qualsivoglia vagheggiamento paesaggistico per concentrarsi sempre e comunque sui soldati, ma sotto il profilo della possibilità dello spettatore di aderire empaticamente alle sorti dei suoi protagonisti.

(Raffaele Meale, Quinlan)

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